La ragazza con la schiena di carta: storia di un mal di schiena cronico
Elisabetta faceva fatica a stare seduta sulla sedia della sala d’attesa. Stanca della giornata di lavoro, il dolore sembrava ancora più insopportabile. Con un po’ di ritardo la feci accomodare. Appena iniziai l’anamnesi scoppiò a piangere… la paura che quel dolore non si potesse risolvere la destabilizzava. Le chiesi chi le avesse detto che da quel mal di schiena non si sarebbe ripresa e lei mi rispose che tutti i professionisti con cui si era interfacciata le avevano detto che avrebbe dovuto conviverci, limitando le sue attività. Elisabetta non poteva far altro che nuoto, il trekking non sarebbe stato possibile perché “sforza la schiena”.
Pensai dentro di me da dove poter iniziare questo percorso. Dovevo toglierle la paura del movimento (anche detta kinesiofobia) perché Elisabetta non solo era terrorizzata dal camminare a lungo, ma anche di piegare la schiena. Risultato? Era fragile come un foglio di carta, “danneggiabile” anche da trattamenti passivi. D’altronde per tutti il suo era un mal di schiena cronico….quindi irrisolvibile!
Abbiamo intrapreso un percorso all’insegna della comprensione del dolore che è forse la cosa più difficile da spiegare ad un paziente, soprattutto che il dolore non è sempre uguale ad un danno. Eh, no! Perché a volte il dolore, quando dura da tanto tempo, fa instaurare un meccanismo chiamato Sensibilizzazione centrale.
Ma spieghiamolo meglio. Quando un nervo ha un danno, inizialmente reagisce come reagisce ogni altro tessuto, ovvero apporta mediatori dell’infiammazione (chemochine, citochine) per cercare di guarire, ma se non ci riesce completamente e per qualche motivo resta iperattivo a livello centrale scarica per qualsiasi stimolo in modo esagerato (anche per uno stimolo che avviene in periferia non doloroso).
Quindi, quando un nervo che riceve tutte queste informazioni infiammatorie si modifica cambiando funzionalmente la sua struttura, la sua forma, il suo modo di rispondere, essendo quindi iperattivabile agli stimoli, si dice che è sensibilizzato/iperattivabile. Tutte queste informazioni, essendo un’iperattivazione del nervo, vengono amplificate e arriveranno prima al midollo spinale e poi al cervello con una frequenza di scarica molto maggiore.
In questo tipo di dolore giocano un ruolo fondamentale anche gli aspetti psicosociali. Per esempio la paura del movimento e la catastrofizzazione in alcuni casi non aumentano solo la percezione di dolore, ma possono addirittura ritardare la guarigione.
Quindi con Elisabetta abbiamo impostato un trattamento di educazione e informazione.
Un altro aspetto del dolore da sensibilizzazione centrale è la modificazione della corteccia sensomotoria, parte del nostro cervello dove sono rappresentate le parti del nostro corpo. Studi hanno dimostrato che nei pazienti con mal di schiena di lunga durata, gli stimoli dolorosi protratti nel tempo, iniziano a modificare proprio lo schema corporeo rappresentato a livello cerebrale.
Infatti, sono stati messi a punto alcuni trattamenti che si focalizzano molto di più sulla riabilitazione sensitiva (discriminazione fra due punti, propriocezione), cercando di far capire al paziente come sente il suo corpo, in modo che la corteccia lavori meglio ed elabori più correttamente gli stimoli. Movimento e sensibilità sono altamente interconnessi, quindi si può pensare che cambiando il modo in cui si muove il paziente, modificando alcuni schemi scorretti, possa apportare cambiamenti alla la corteccia.
Elisabetta sgranò gli occhi, ovviamente incredula e restia a questa spiegazione. Ero la prima persona che le diceva che avrebbe potuto muoversi e fare una vita normale. Smise di piangere e intraprese insieme a me questo percorso, fatto di alti e bassi, ma che le ha permesso di tornare ad essere la padrona della sua schiena.
Dr.ssa Deborah Luzzi, Fondatrice, Titolare e Fisioterapista del Deb-Lab